Quando si evocano nuove utopie come cura ai mali del mondo, puntualmente si dimentica che l'etimo della parola è òu-tòpos, cioè "nessun luogo". Si tratta quindi di luoghi ideali, concepiti come ultimi punti di approdo della civiltà umana.
Ma ha davvero senso parlare degli spazi pubblici e privati, tanto agiti quanto agenti, in termini così idealistici e teleologici? Non avrebbe, invece, più senso analizzare lo spazio qui ed ora, lo spazio che ci circonda, per scoprirne le
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potenzialità semiotiche intrinseche, le intenzioni preliminari di cui sono intessuti, le storie silenziose che sembrano raccontare?
A poca distanza dalla celebrazione del trentennale della morte di Michel Foucault, filosofo, storico e archeologo dei saperi, Il Castello prende in esame "Utopie, eterotopie", uno tra i più brevi, ma anche tra i più importanti lasciti scritti di questo gigante del pensiero del secondo novecento.
In co-conduzione: Flavio de Benedictis